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Retribuzione professionale avvocati dipendenti: il caso della sanità

In tema di retribuzione professionale continua l’accanimento sugli avvocati dipendenti della pubblica amministrazione e nello specifico della sanità.

Ancora sulla retribuzione professionale degli Avvocati dipendenti

Continua l’accanimento su una sola e piccola categoria di lavoratori: gli avvocati dipendenti della pubblica amministrazione e, nello specifico, nella micro categoria di quelli dipendenti della Sanità.

Il casus belli questa volta riguarda l’art. 66 lettera “h” CCNL 17.12.2020 DIRIGENZA FUNZIONI LOCALI che riguarda la Dirigenza PTA (Professionale, tecnica e Amministrativa) del SSN, in merito al quale circola un commento dottrinale tanto errato, quanto non qualificato, ma sufficiente a creare continui imbarazzi benché contrastante con la giurisprudenza – anche la più recente – amministrativa, nomofilattica e finanche costituzionale.

Così si esprime la norma pattizia:

“Contrattazione integrativa

Sono oggetto di contrattazione integrativa: h) i criteri per l’attribuzione dei compensi professionali degli avvocati, nel rispetto delle modalità e delle misure previste dall’art. 9 del D. L. n. 90/2014 come convertito in legge con modificazioni, dall’art 1, comma 1, della L. 114/2014 e delle disposizioni contrattuali previste in materia dai precedenti CCNL della pre-esistente Area III che, pertanto, sono confermate”.

In pratica il CCNL ha recepito e “contrattualizzato” il c.d. “decreto Renzi” che, all’art 9 c. 6, dispone per tutti gli avvocati degli enti pubblici senza differenziazioni la corresponsione dei compensi professionali 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese”.

Nella norma citata risaltano le seguenti peculiarità:

1) i compensi per la prestazione professionale del dipendente Avvocato, incardinato nell’ufficio legale dell’ente pubblico, sono corrisposti solo entro l’ammontare del suo trattamento economico annuo complessivo e comunque nei limiti ulteriori dello stanziamento riferito a 10 anni or sono (2013)*;

2) l’avvocato pubblico ha diritto alla corresponsione del compenso professionale solo per i provvedimenti favorevoli all’Ente, a differenza di quanto accade per l’avvocato del libero foro, il quale ha diritto in ogni caso a ricevere dal cliente (anche qualora si tratti di una P.A.) il pagamento dell’onorario professionale, dovuto a prescindere dall’esito della causa.

Nell’ambito della Sanità, non costituisce tema di dibattito il c. 3 dell’art. 9, DL 90/14, relativo alle somme recuperate dalla parte soccombente. Il casum belli si appunta sui casi di provvedimento favorevole con pronuncia di compensazione integrale delle spese, per il quale spettano agli avvocati dipendenti i compensi professionali ex lege e in forza di ciò confermati dalla giurisprudenza (Corte Cost., sent. n. 33/2009; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 14 giugno 2001, n. 879; T.A.R. Umbria Perugia, 31 gennaio 1998, n. 137;TAR Lecce, Sez. III, n.847, 25.03.2010; Corte dei Conti del Piemonte, parere n. 164 del 20.11.2015).

Se pure è vero che il cit. c. 6, art. 9, demanda “alle norme regolamentari”, oppure, in alternativa, a quelle “contrattuali vigenti”, il compito di definire le modalità di liquidazione ed i criteri di ripartizione all’interno degli uffici legali, si precisa che detto termine “regolamentari” è da riferire ad atti di normazione interna, mentre con il termine “contrattuali vigenti” la norma si riferisce alla contrattazione vigente al momento di entrata in vigore della L.n.11414 qualora l’Ente fosse stato sprovvisto di regolamento.

In tal senso depone sia l’interpretazione sistematica dell’art. 9, nel quale il Legislatore, laddove ha inteso riservare alla contrattazione di livello nazionale il compito di disciplinare le modalità di pagamento della retribuzione degli avvocati pubblici nella parte del compenso per l’attività professionale svolta vittoriosamente, lo fa espressamente, parlando testualmente di “regolamenti e contrattazione collettiva” (comma 3), parimenti il comma 5 recita: “I regolamenti … e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto …”. Diversamente il c. 6 dispone: “… in base alle norme regolamentari o contrattuali …”; sia l’interpretazione resa dalla magistratura contabile, che ha confermato: “… la norma lascia alla contrattazione integrativa la competenza a determinare i criteri di riparto dei compensi, fermi restando tre tetti: il primo è quello retributivo individuale generale … , il secondo è quello retributivo individuale specifico … il terzo è quello finanziario collettivo … (Corte dei Conti del Piemonte, parere n. 164 del 20.11.2015). Quindi i criteri di riparto, non il quantum o l’an!

E che non si tratti di subordinare l’ipotesi della compensazione delle spese al relativo adeguamento dei contratti nazionali, dal 2014 (con la legge “Renzi”) è chiaro. Diversamente opinando si renderebbe la norma dell’art. 9 cit. del tutto retorica, atteso il notorio, annoso, blocco della contrattazione nazionale reiterato pure per il 2015, e sbloccato solo dal 2018 (seppur con gravi ritardi di anni).

Ancora. Una differente conclusione non solo realizzerebbe una discriminazione tra gli avvocati dipendenti della P.A. rientranti nell’unica previsione dell’art. 9 cit., ma rende altresì la lettura della norma irrazionale, supponendo che essa si raccordi in automatico con i contratti collettivi solo per le parti che penalizzano l’avvocato dipendente (ad esempio per il tetto retributivo) e non per gli altri contenuti e neppure per altri dipendenti (che non siano avvocati).

Ubi lex voluit dixit: l’intento del Legislatore nel distinguere le due ipotesi dette, è dunque quella di lasciare che le spese compensate siano disciplinate da un regolamento dell’Amministrazione allorché la contrattazione vigente non vi abbia provveduto.

Quest’ultimo è ad esempio il caso del CCNL della Dirigenza Professionale in Sanità, dove, essendo contrattualizzata solo la previsione delle spese legali recuperate in causa favorevole, spetta alle Aziende Sanitare regolamentare l’ipotesi delle spese compensate in cause vinte.

A tale stregua, nella nota prot. n.0020789 del 01 marzo 2016, avente ad oggetto proprio l’art. 9 della L.n.1142014, il Direttore Generale della Direzione Contrattazione 2 dell’ARAN, nel rinviare al Dipartimento della Funzione Pubblica quale autorità competente per le eventuali questioni interpretative della norma, si cura non a caso di chiarire che “.. le disposizioni contrattuali in materia racchiuse nell’art.64 del CCNL del 05.12.1996 dell’Area dirigenziale SPTA del Servizio Sanitario devono sicuramente essere armonizzate con il dettato dell’art. 9 della L.N.1142014 … “.

Ed, in materia di compensi agli avvocati delle amministrazioni pubbliche, il Giudice contabile ha in più occasioni tenuto a dire che quella verso gli avvocati dipendenti è “un’obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento“, ne segue che l’ente pubblico ha il dovere di predisporre (o adeguare), il regolamento necessario che sia esaustivo e completo per procedere alla liquidazione delle spettanze professionali dovute agli avvocati delleamministrazioni pubbliche, disciplinandone le modalità, il parametro forense (entro la forbice del minimo e massimo di tariffario) e la ripartizione interna.

In conclusione, ben pochi dubbi possono esservi, poiché la norma esclude espressamente dalla possibilità di ricevere onorari da spese compensate il “personale dell’Avvocatura dello Stato“, non anche altre categorie di avvocati dipendenti. L’aspetto innovativo dell’art. 9 d.l. 90/2014, la quale pone fine a annose questioni e lunghi contenziosi, si coglie proprio nella uniformità di trattamento dei compensi degli avvocati dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al art. 1, comma 2, D. Lgs. n.165/2001, quindi ci si augura che il contenuto dell’art.9 cit. non venga snaturato nella attuazione pratica con artificiose trovate aventi effetti tutt’altro che deflattivi ed imparziali.

Che d’altra l’interpretazione letterale non possa che essere l’unica praticabile è stato statuito appena giorni fa (seppur in altra questione), dalla Corte di Cassazione, ove, affrontata la problematica della corretta interpretazione di una norma, ha avuto cura di precisare “l’insuperabilità dell’interpretazione letterale delle disposizioni normative, che può cedere il passo solamente innanzi al sindacato di legittimità costituzionale” (Cass. Trib., ord. n. 5870 del 27/2/2023).

Tali puntualizzazioni si rendono indispensabili anche alla luce di fuorvianti interpretazioni dottrinarie, peraltro non qualificate, che prescindono dai principi del diritto e dalla gerarchia delle fonti. Tali errate “letture” sbagliano anche nel rinviare alle pronunce della Corte dei Conti n. 12332/2018, 12333/2019 del 2018 e 6553/2019, tutte riferite a fattispecie precedenti l’introduzione nel nostro ordinamento del “decreto Renzi”, e quindi maturate in contesti normativi differenti.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/45746-retribuzione-professionale-avvocati-dipendenti-il-caso-della-sanita.asp
(www.StudioCataldi.it)