L’art. 615 bis c.p. (reato di interferenze illecite nella vita privata) punisce chi con l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora si procura indebitamente notizie o immagini della vita privata altrui.
Art. 615-bis c.p. interferenze illecite nella vita privata
L’articolo 615-bis del codice penale, introdotto dalla legge n. 98 del 1974 punisce, al primo comma, la condotta di colui che, attraverso l’utilizzo di apparecchiature visive o audio, si procura indebitamente notizie o immagini riguardanti la vita privata all’interno dei luoghi indicati dall’articolo 614 c.p., disponendo, al secondo comma, che alla stessa pena soggiace colui che rileva o diffonde, attraverso qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, notizie ovvero immagini carpite attraverso le modalità sopraindicate.
Ratio della fattispecie incriminatrice è quella di reprimere le incursioni abusive nella vita altrui, al fine di tutelare i diritti inviolabili sanciti dagli artt. 2 e 14 della Carta Costituzionale. Il bene protetto è, dunque, il diritto ad escludere terzi da quello che avviene nell’ambito dei luoghi in cui si svolge la vita privata di ogni individuo, garantendo la piena esplicazione della stessa.
Immagini o notizie “indebitamente” procurate
La parola chiave nel tessuto lessicale della previsione normativa è l’avverbio “indebitamente”, con il quale il legislatore ha voluto intendere l’illiceità della condotta laddove essa non sia giustificata dalla pendenza di procedimenti penali relativi a quanto statuito ai sensi dell’articolo 266 del codice di procedura penale, ossia quindi a quelli per:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;
f-bis) delitti previsti dall’articolo 600 ter, terzo comma, del codice di penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater.1 del medesimo codice, nonché dall’articolo 609-undecies;
f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516 e 517-quater del codice penale; f-quater) delitto previsto dall’art. 612-bis c.p., nonché se vi sia fondato motivo da ritenere che nei luoghi indicati ai sensi dell’articolo 614 c.p., si stia svolgendo l’attività criminosa).
In un astratto bilanciamento di interessi, il legislatore ha inteso privilegiare la privacy e la riservatezza dell’individuo, a condizione che l’attività di intrusione (tramite riprese fotografiche o filmate) sia appunto di per sé indebita. Il connotato di indebito, quindi, implica la mancanza di una “qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell’agente, che, di conseguenza, sia da ritenere ispirata dalla sola finalità di gratuita intrusione nella vita privata altrui ed implica, altresì, mancanza di espedienti di sorta per superare eventuali protezioni che l’avente diritto alla riservatezza abbia, all’uopo, appositamente frapposto, a schermo della propria intimità” (Cassazione n. 25453/2011).
Un esempio recente di interferenza illecita per immagini indebitamente procurate è quello che è stato affrontato dalla Cassazione n. 27990/2020. Il responsabile si è infatti procurato immagini delle parti intime delle pazienti di uno studio medico con mezzi di ripresa visiva per poi diffonderle sui social network.
I “luoghi” dell’interferenza
A meritare attenzione è anche l’inciso “luoghi indicati ai sensi dell’articolo 614” con il quale il legislatore ha inteso definire gli ambienti nei quali l’interferenza nell’altrui vita privata assume penale rilevanza. L’art. 614 c.p infatti, nel punire il reato di violazione di domicilio, definisce come tale l’abitazione altrui o un altro luogo di privata dimora.
Concetto quello del domicilio che la SU del 2006 Prisco ha ampliato con un’importante affermazione di carattere generale secondo la quale “non c’è dubbio che il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza. Ma il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole, la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente.”
A questa ha fatto seguito poi la Cassazione a Sezioni Unite (n. 31345/2017), che si è preoccupata di definire i luoghi di privata dimora ai fini del reato di furto, chiarendo in via generale che: “”rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.”
La sentenza D’Amico, alla luce di queste e di altre pronunce della Corte Costituzionale, come ricorda la recente Cassazione n. 25263/2021, ha chiarito che la nozione di privata dimora non può prescindere dalla compresenza dei seguenti elementi:
“a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne;
b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità;
c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.”
Principi che hanno ispirato la Cassazione n. 1555/2019, la quale ha ritenuto integrare “la nozione di privata dimora la stanza di degenza di una casa di riposo per anziani, in quanto si tratta di luogo utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni di vita privata, destinato ad uno stabile utilizzo da parte dei degenti e al quale è interdetto l’accesso di terzi.”
Decisione a cui si è ispirata la Cassazione n. 25263/2021, che ha infatti ha richiamato i tre elementi che connotano la nozione di privata dimora precisando, ai fini della decisione del caso di specie: “Quanto al primo, si evidenzia che una toilette è destinata funzionalmente allo svolgimento di manifestazioni della vita privata, in quanto attinenti alla sfera strettamente personale ovvero praticabili in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne. Riguardo all’elemento della durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, va considerato che è la destinazione a connotare il luogo e quindi deve ritenersi stabile il rapporto tra i frequentatori di un circolo privato e i locali di tale circolo adibiti a bagni. Quanto infine al requisito della non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare, va ancora una volta considerato che alla sede di un circolo privato possono accedere solo i soci, il personale addetto ai servizi e una cerchia di soggetti comunque determinabile in base proprio al “consenso” esprimibile da chi svolge funzioni gestorie dello stesso circolo e che, quindi, ha il potere di interdire l’accesso di terzi.”
Altre sentenze della Cassazione hanno avuto il pregio di fornire altre indicazioni di dettaglio sui luoghi in cui il reato di interferenze illecite nella vita privata altrui può essere integrato:
- Cassazione n. 27847/2015: è luogo di privata dimora la “toilette” di uno studio professionale, in quanto si tratta di locale con accesso riservato al titolare ed ai dipendenti dello e a clienti e fornitori solo previo consenso del personale;
- Cassazione n. 34151/2017: le scale condominiali e i pianerottoli non possono considerarsi “luoghi di privata dimora” perché zone che non rendono possibile esplicare la vita privata al riparo di sguardi indiscreti, in quanto destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti
L’elemento psicologico del reato
Se è pacifica l’individuazione dell’elemento materiale, diverso invece è l’approccio sul piano dell’elemento psicologico.
Infatti, per parte della giurisprudenza di legittimità, l’elemento soggettivo del reato va individuato nel dolo specifico, essendo necessaria la volontà di procurarsi indebitamente le immagini inerenti la vita privata del titolare del luogo filmato senza alcun giustificato motivo (cfr. Cass. n. 25453/2011; Cass. n. 8753/2001); mentre per altro orientamento, l’elemento psicologico veniva ravvisato nel dolo generico in quanto era ritenuta sufficiente la volontà di procurarsi indebitamente immagini inerenti la privacy (Cass. n. 25666/2003).
La persona offesa
Per quanto concerne la persona offesa, la giurisprudenza non fa differenza tra colei nei cui confronti la captazione uditiva o visiva è rivolta e tutti coloro che nei luoghi indicati nell’articolo 614, pongono in essere abitualmente comportamenti o attività della vita privata.
A tal proposito, infatti, la S.C. con due importanti pronunce, ha statuito che “è irrilevante la mancata identificazione, o la non identificabilità, della persona cui si riferisce l’immagine abusivamente captata dal terzo, atteso che il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, nel cui ambito rientra la riservatezza che connota i momenti tipici della vita privata, non è soltanto il soggetto direttamente attinto dall’abusiva captazione delle immagini, ma da chiunque, all’interno del luogo violato, compia abitualmente atti della vita privata che necessariamente alle stesse si ricolleghino (Cass. n. 7750/2011; Cass. n. 41021/2012).
Procedibilità
Per quanto riguarda il regime sanzionatorio, il legislatore al primo comma prevede la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, prevedendo la medesima pena per la fattispecie di cui al secondo comma, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Il delitto di cui all’art. 615-bis c.p., infine, è punibile a querela della persona offesa, in quanto soggetto agente è chiunque, essendo un reato comune, fatta eccezione per la previsione di cui all’ultimo comma che configura un’ipotesi delittuosa di reato proprio, secondo la quale “se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”, si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/19375-il-reato-di-interferenze-illecite-nella-vita-privata.asp
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