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L’uso dei beni in comproprietà

La disciplina dell’uso dei beni in comproprietà e la giurisprudenza sui limiti di questa facoltà.

L’uso dei beni in comproprietà trova la sua disciplina nell’art 1102 c.c. che così dispone: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

L’uso dei beni in comproprietà: modalità e limiti

Dalla norma, che trova applicazione in materia condominiale (artt. 1117 e segg. c.c.), emerge che due sono i limiti all’uso della cosa comune:

  • il divieto di alterare la destinazione della cosa
  • il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso

Per “pari uso” non si intende un uso “identico” della cosa. Anzi in genere è ammesso che un soggetto faccia un uso più intenso della cosa comune rispetto ad altri, ciò che conta però è che tutti abbiano potenzialmente il diritto di usare la cosa al pari degli altri.

Ogni comunista oltre a usare la cosa comune, può modificarla, sostenendo i costi necessari per consentire un migliore godimento della cosa. In questo caso però i comunisti, se non chiedono l’eliminazione del miglioramento apportato anche in loro favore, possono acquisirlo purché ne possano usufruire e costituisca innovazione della cosa comune (art. 1108 c.c.), riconoscendo all’autore della modifica il rimborso delle spese sostenute per migliorare la cosa comune.

Infine la norma prevede che un comunista non può estendere il diritto della cosa comune danneggiando gli altri, se non pone in essere atti che risultino idonei a mutare il titolo del suo possesso, che provino inequivocabilmente il nuovo animus possidendi.

Uso dei beni in comproprietà: le regole della Cassazione

– Cassazione: ok terrazza a uso esclusivo purché non alteri la destinazione principale del bene

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10004/2017, chiamata a pronunciarsi sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1117 c.c., poiché la Corte d’appello “avrebbe erroneamente ritenuto che la realizzazione della terrazza “a tasca” violi la comunione e la proprietà comune dei condomini, alterando le facoltà di uso comune di tutti i condomini a favore del condomino che realizza la terrazza ad uso esclusivo dell’appartamento di sua esclusiva proprietà“, ha ritenuto fondato il motivo del ricorso.

Ritenendo tout court illecita la trasformazione di una parte del tetto condominiale in terrazza a proprio uso esclusivo, la sentenza impugnata non è in linea con la più recente giurisprudenza, ha sentenziato la Corte (cfr. Cass., Sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107), secondo cui “il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene”.

– Cassazione: uso della cosa comune illegittimo se impedisce agli altri il potenziale utilizzo paritario

L’ordinanza n. 16260/2017 della Cassazione ha precisato che i limiti all’uso della cosa comune previsti dall’art 1102 c.c. non possono essere interpretati in maniera troppo rigida poiché: “I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione”. Ne consegue che “qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (cfr. Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466)”.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/28912-l-uso-dei-beni-in-comproprieta.asp
(www.StudioCataldi.it)