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Abbandono di incapace

L’abbandono di persone minori o incapaci è un delitto previsto e punito dall’art. 591 del codice penale con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Abbandono di incapace: art. 591 c.p.

Ex art. 591 c.p., è punito con la reclusione da 6 mesi a cinque anni chi abbandona:

  • un minore di anni quattordici,
  • una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura.

La stessa pena è applicata anche a chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore di anni diciotto, che gli era stato affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.

Nel caso in cui dall’abbandono derivi una lesione personale, la pena della reclusione è prevista da uno a sei anni, mentre se ne consegue la morte da tre a otto anni.

Le pene sono aumentate se ad abbandonare l’incapace è il genitore, il figlio, il tutore, il coniuge, l‘adottante o l’adottato.

Ratio dell’istituto

Il legislatore, con la previsione del reato di abbandono di incapace, si dimostra sensibile nei confronti dei soggetti più fragili, prevedendo pene severe per chi viola gli obblighi di cura e di custodia.

La norma si fonda sulla presunzione di fragilità degli infra quattordicenni, mentre per quanto riguarda gli incapaci richiede l’accertamento delle condizioni di fatto (malattia, età o altra causa) a motivo delle quali sono sottoposti alla cura altrui.

Da segnalare l’elasticità dei concetti di abbandono e di incapacità, così come formulati dalla norma, ha permesso alla giurisprudenza di merito e di legittimità di interpretare ed adeguare la norma ai soggetti e alle situazioni più svariate.

Abbandono di incapace: oggetto della tutela

Oggetto formale della tutela dell’art. 591 c.p. è l’incolumità individuale, anche se nella sostanza pare che il legislatore voglia altresì favorire l’integrità e il benessere psico-fisico dei soggetti deboli.

Il fatto stesso che l’abbandono di incapace sia un reato di pericolo, evidenzia l’intenzione di voler mettere il punto sulla condotta, a prescindere dai suoi effetti.

Questo concetto “aperto” permette alla giurisprudenza di riconoscere rilevanza penale a svariate condotte attive e omissive, da cui possono scaturire anche situazioni di pericolo meramente potenziali.

Abbandono di incapace: soggetti attivi

Il soggetto attivo del reato è qualunque soggetto gravato

  • da un obbligo formale nei confronti dell’incapace;
  • da un obbligo implicito nei confronti dell’infra quattordicenne, ad eccezione del minore di anni diciotto affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro a un soggetto determinato.

Per la forma aggravata del reato di abbandono, la norma prevede pene particolarmente severe se a commetterlo sono soggetti specificamente individuati: il genitore, il figlio, il tutore, il coniuge, l’adottante e l’adottato.

La condotta punita

La condotta di abbandono può realizzarsi con un’azione singola o con più atti successivi. Se il momento dell’abbandono integra il reato, al fine di rispondere all’esigenza di una tutela immediata del soggetto passivo del reato, la condotta protratta nel tempo mira a colpire qualsiasi comportamento distratto e negligente. La condotta però presenta delle sfumature particolari, a seconda che il reato si realizzi ai danni di un minore o di un incapace.

– Il minore

Il legislatore, nel riconoscere una fragilità implicita al minore infra quattordicenne, che non richiede accertamenti giudiziali e prescinde dalle sue condizioni psico-fisiche, prevede un dovere di protezione in capo a tutti coloro che entrano in contatto con questo soggetto: genitori, parenti, domestici, datori di lavoro, maestri, insegnati, ma anche vicini di casa e soggetti in grado di rilevare la situazione di “abbandono” del minore.

– L’incapace

Per le persone incapaci, invece, affinché si configuri il reato il soggetto attivo deve essere gravato da un formale obbligo di custodia o di cura (che prevede compiti svariati e complessi). Da precisare però che, se il dovere di custodia implica una relazione tra soggetto attivo e passivo del reato che può nascere anche da una sua spontanea assunzione o da una situazione di fatto, il dovere di cura, deve invece scaturire da fonti giuridiche formali.

A precisare questa differenza è intervenuta la Corte di Cassazione penale con sentenza n. 53038/2016: “Questa Corte ha già affermato che in tema di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 cod. pen.), il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (Sez. 5, n. 19448 del 12/01/2016).”

L’elemento psicologico

Il dolo del reato d’abbandono di incapace è generico, nel senso che il soggetto agente deve abbandonare volontariamente l’incapace, con la consapevolezza sia del dovere di cura o di custodia gravante su di lui, sia del pericolo, anche meramente potenziale, che la sua condotta può produrre sulla salute del soggetto passivo.

Ai fini dell’elemento soggettivo del delitto quindi rileva solo la volontà dell’abbandono e la coscienza di abbandonare un soggetto incapace di provvedere alle proprie esigenze.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/29785-l-abbandono-di-incapace.asp
(www.StudioCataldi.it)