La liquidazione controllata, lo spossessamento, la perdita di amministrazione dei beni del debitore.
Cos’è la liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata è disciplinata dall’art. 268 del C.C.I., la cui procedura ha come scopo la liquidazione del patrimonio del consumatore, del professionista, dell’imprenditore agricolo, dell’imprenditore minore, delle start – up innovative e di ogni altro debitore, non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza.
Il codice della crisi ha mantenuto il presupposto oggettivo della disciplina contenuta nella legge 27 gennaio 2012, n. 3, ma ha ridefinito la nozione di sovraindebitamento come “Lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale, alla liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o di insolvenza (vedi art. 2, c. 1, lett. c), C.C.I.“.
Con la riforma attuata dal d.l. 179/2012 è stata confermata la tesi che il sovraindebitamento è una condizione di illiquidità patrimoniale del debitore che può consistere tanto in uno stato di insolvenza, intesa come definitiva incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, tanto in una mera crisi finanziaria, da qualificare come una rilevante difficoltà di adempiere, che rende probabile la futura insolvenza.
Nelle intenzioni del legislatore si è voluto codificare un procedimento equivalente alla liquidazione giudiziale.
L’istituto della liquidazione controllata coinvolge l’intero patrimonio pignorabile del sovraindebitato che, dal momento dell’apertura, viene amministrato da una entità neutra: il liquidatore.
La domanda di liquidazione controllata del sovraindebitato potrà essere presentata dal debitore, da un creditore o dal pubblico ministero. In quest’ultimo caso l’interesse pubblico che giustifica la proposizione del ricorso sussiste soltanto nell’ipotesi in cui il debitore sia un imprenditore.
Con il riconoscimento dell’intervento dei creditori nella procedura della liquidazione controllata è stato trasformato l’istituto da strumento a difesa del debitore a strumento di tutela del credito finalizzato ad assicurare una tutela effettiva a tutti i creditori all’interno del concorso.
L’estensione ai creditori della legittimazione attiva ha come scopo quello di allargare la platea dei beneficiari della procedura concorsuale ai creditori che trovino un ostacolo negli elevati costi di una espropriazione immobiliare individuale, ormai attivate esclusivamente dai condomini e dai creditori fondiari.
Non può trascurarsi il ruolo dell’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento di liquidazione controllata. In particolare, sarà compito del giudice accertare, oltre al sovraindebitamento, anche l’esistenza dei beni da aggredire.
Nel caso in cui il patrimonio del soggetto ne sia privo, l’unica strada percorribile sarebbe quella indicata dall’art. 283 C.C.I.I. rappresentata dall’esdebitazione del debitore incapiente con riferimento alla quale si ritiene che la legittimazione spetti al solo debitore in ragione della palese assenza di un interesse ad agire in capo ai creditori.
Domanda del debitore
Ai sensi dell’art. 269 C.C.I. la domanda di liquidazione controllata può essere presentata “personalmente” dal debitore che si trovi in stato di sovraindebitamento con l’assistenza dell’Organismo di Composizione della Crisi, il quale dovrà redigere una relazione, da allegare al ricorso, in cui verrà esposta la situazione economica del debitore.
Da tale relazione dovrà emergere la sussistenza dello stato di crisi o di insolvenza e sarà poi compito del gestore esprimere una valutazione sull’attendibilità dalla documentazione fornita dal debitore.
Rientra nei compiti esclusivi dell’OCC, entro sette giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, finalizzato al deposito del ricorso, di darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, compresi quelli degli enti locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore.
Lo scopo di tale comunicazione è quello di consentire agli uffici di predisporre la documentazione necessaria per far valere eventuali crediti nella liquidazione e a far conoscere la situazione debitoria all’OCC., in modo che l’organismo ne possa tener conto nella redazione della relazione.
Apertura della liquidazione controllata
L’istituto dell’apertura della liquidazione controllata è disciplinato dall’art. 270 del C.C.I.
L’autorità giudiziaria alla quale è affidata la direzione e il controllo della procedura è il Tribunale presso il quale, ai sensi dell’art. 269 C.C.I., è presentata la domanda.
Nel caso in cui l’autorità giudiziaria accerti uno stato di insolvenza dovrà, con sentenza, dichiarare aperta la procedura emettendo gli ulteriori provvedimenti necessari.
Il tribunale nomina il giudice delegato ed il liquidatore, che è l’organo tecnico della procedura.
La funzione del liquidatore è quella di amministrare il patrimonio e sul quale vige l’obbligo della rendicontazione.
La sentenza che dichiara aperta la liquidazione controllata dovrà essere notificata al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione attraverso strumenti telematici.
L’apertura della procedura determina, innanzitutto, lo spossessamento del debitore, ossia la perdita del potere di disposizione e amministrazione del patrimonio liquidabile. Con la conseguenza che ad essere investito di tale potere è il liquidatore.
Il provvedimento di apertura deve essere equiparato all’atto di pignoramento, con la conseguenza di produrre un vincolo sul patrimonio del debitore tale da consentire il passaggio di tutela individuale a quella collettiva del credito, propria delle procedure concorsuali. Lo spossessamento, inoltre, si estende solo al patrimonio del debitore liquidabile, ex art. 268 C.C.I.
Concorso di procedure
In presenza di una domanda di liquidazione controllata proposta dai creditori o dal pubblico ministero, il debitore potrà chiedere, avendone i requisiti, l’accesso ad una delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: la ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 C.C.I.I.) e il concordato minore (art. 74 C.C.I.I.).
Il codice della crisi offre al debitore una norma di tutela rispetto alla domanda di liquidazione controllata presentata dai creditori, atteso che gli consente di ribattere chiedendo a sua volta l’accesso alla procedura di concordato minore o alla ristrutturazione dei debiti del consumatore. Con il concordato minore si vuole consentire il superamento della situazione di sovraindebitamento del debitore, sulla base di una proposta di sistemazione che assicuri i creditori un soddisfacimento dei loro crediti non inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria, senza arrecargli alcun un pregiudizio.
Il procedimento del concordato minore si articola in tre fasi: a) la proposta formulata dal debitore; b) l’approvazione da parte dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti; c) l’intervento del Tribunale, volto a verificare la regolarità nello svolgimento del procedimento ed il rispetto delle norme imperative.
Con la ristrutturazione dei debiti l’impresa in crisi tenta di ridurre l’esposizione debitoria assicurando il riequilibrio della situazione finanziaria. Diversamente dagli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56 d. lgs 14/2019), l’accordo di ristrutturazione è soggetto all’omologazione del Tribunale, ma si tratta comunque di uno strumento negoziale. In termini semplicistici, si può definire come un accordo formato con un numero di creditori che rappresentino il 60% dei crediti (accordo standard o ordinario) ovvero il 30% (accordo agevolato) o il 75% di crediti omogenei appartenenti alla stessa categoria (accordo esteso) e “certificato” dalla relazione di un professionista abilitato, il quale attesti la veridicità dei dati, nonché l’attuabilità dell’intesa. La sua ratio è di consentire il salvataggio dell’impresa e di sanare la crisi, garantendo ai creditori non aderenti l’integrale soddisfazione del credito. Con l’accordo di ristrutturazione è l’imprenditore stesso che continua a dirigere la propria impresa e – su istanza di parte – il suo patrimonio è assistito da alcune tutele (come il blocco delle azioni esecutive e cautelari), per consentirgli di realizzare il risanamento.
Si vuole così attenuare il rischio che un creditore possa presentare una domanda di liquidazione controllata anche in presenza di una mera difficoltà economica, come accadeva nella previgente disciplina, anziché soltanto in caso di definitiva incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni.
In questa ipotesi il Tribunale concede un termine per integrare la domanda e nel caso in cui esso decorra infruttuosamente la procedura di composizione della crisi diventerà inammissibile, così si aprirà la procedura di liquidazione controllata dinanzi alla medesima autorità giudiziaria.
Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/46438-liquidazione-controllata-del-sovraindebitato.asp
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